A cura di: Piero Graziano
Esiste un’espressione inglese “hate speech” tradotto in italiano con la formula “incitamento all’odio” che individua una categoria elaborata negli anni per indicare un genere di parole e discorsi che non hanno altra funzione a parte quella di esprimere odio e intolleranza verso una persona o un gruppo, e che rischiano di provocare reazioni violente contro quel gruppo o da parte di quel gruppo.
Ed è quello che è accaduto nelle terre a noi lontane dell’Araucanía in Cile e della Patagonia in Argentina, luoghi in cui da sempre vive il popolo Mapuche, amerindi, il cui nome significa letteralmente “Popolo della Terra”. Vivono essenzialmente di agricoltura ed hanno una vera e propria venerazione per la terra nel pieno rispetto del significato del loro nome.
Questa popolazione subisce da secoli attacchi su più fronti e non solo per mezzo di parole d’odio, ma con vere e proprie azioni, che hanno generato la loro reazione.
La prima grande battaglia di resistenza del popolo Mapuche è stata contro i conquistadores spagnoli, durata tre secoli dal ‘500 all’800’, resistendo contro espropri delle terre e evangelizzazione forzata. Con la dissoluzione dell’impero spagnolo in America Latina si è passati agli stati nazionali ed è qui che le terre del popolo Mapuche sono state inglobate nei territori di Cile ed Argentina. Iniziando così nel corso del ‘900 una dura battaglia contro gli industriali che hanno trasformato radicalmente il volto delle loro terre, comprandole in giganteschi lotti dai governi nazionali di Cile ed Argentina.
Queste terre sono state disboscate dei loro alberi originari e rimpiazzate con altri per una produzione massiccia di cellulosa, oppure disboscate del tutto ed i terreni convertiti per l’allevamento di bestiame. I rapporti tra gli industriali e la popolazione locale sono andati via via peggiorando a seguito della crescita del numero degli sfratti e della trasformazione delle terre ancestrali in comune terreno, fonte di lucro per l’impresa.
Per riottenere porzioni di terra da coltivare e in cui vivere i mapuche hanno messo in piedi una grande battaglia contro lo stato cileno nei primi anni Duemila. Lotta che è costata a caro prezzo, con incarcerazioni e soprusi. Sul versante argentino i Mapuche, oltre a reclamare la restituzione delle loro terre natie, contestano al Governo l’assenza del rispetto della Costituzione della Repubblica che prevede il riconoscimento della diversità etnica e culturale, la preesistenza dei popoli indigeni, il loro diritto al possesso dei terreni tradizionalmente occupati, nonché la partecipazione diretta alla gestione delle risorse naturali.
Con i recuperi territoriali intendono ricostruire una Nazione Mapuche, quindi ripristinare la loro originaria autonomia sui territori ancestrali proteggendoli dallo sfruttamento e dalla distruzione messa in atto da decenni dalle multinazionali. Non aspirano alla creazione di uno stato separato, ma reclamano la possibilità di gestire le proprie terre. Definiscono i grandi latifondisti stranieri, i detentori del potere colonialista.
La storia di questo popolo fa da esempio a chi si chieda cosa significhi subire per una minoranza discriminazioni, parole d’odio, azioni violente, che generano altrettante reazioni da parte di chi ne è vittima.